Ci sono tanti tipi di vergogna. Ci sono delle cose che restano racchiuse in un silenzio, in uno sguardo abbassato, nel girare la testa dall’altra parte ed avere uno sguardo triste. A volte è la vergogna per non essere come gli altri, per non avere delle cose che hanno gli altri. L’uomo che è in fila alla Caritas, che ha attraversato il mare per arrivare da noi, in cerca di salvezza, di un futuro migliore. Lui, ora, è uno dei tanti che affollano quel luogo, lunga fila per avere un pasto caldo, abiti avuti da qualche associazione caritatevole, un letto se c’è, se si è trovato. Ma in quella fila davanti alla Caritas c’è anche l’imprenditore fallito, che ha perso tutto, la ditta, la casa, anche il matrimonio è saltato, non ha retto alla catastrofe che è diventata la sua vita. Anche i suoi operai hanno perso il lavoro, famiglie con un futuro critico, quasi amicizie che si sono rotte. Anche quello ha sulla coscienza. E c’è anche l’uomo separato, quello che pochi anni prima tornava a casa la sera da una moglie carina e innamorata, c’era un bambino che lo accoglieva con un sorriso, sua gioia, sua vita. Lì, in fila alla Caritas, cerca di capire come si è arrivati a questo, come ora la sua casa sia un freddo monolocale, come il suo conto sia in rosso, e il mensile che deve pagare per il mantenimento del bambino sia un numero angoscioso: non ce la fa, con il poco, precario stipendio, a pagare l’affitto, gli alimenti, l’assicurazione, il cibo. La gente in fila alla Caritas non parla, non si racconta le proprie cose: resta in silenzio, la leggera, terribile sensazione di vergogna per essere lì, per essere povera. Futuro rubato, la vergogna dovrebbe essere di qualcun altro. Ma i sentimenti li prova solo chi ha un cuore.
Ci sono tanti tipi di vergogna. Ci sono delle cose che restano racchiuse in un silenzio, in uno sguardo abbassato, nel girare la testa dall’altra parte ed avere uno sguardo triste.
RispondiEliminaA volte è la vergogna per non essere come gli altri, per non avere delle cose che hanno gli altri. L’uomo che è in fila alla Caritas, che ha attraversato il mare per arrivare da noi, in cerca di salvezza, di un futuro migliore. Lui, ora, è uno dei tanti che affollano quel luogo, lunga fila per avere un pasto caldo, abiti avuti da qualche associazione caritatevole, un letto se c’è, se si è trovato.
Ma in quella fila davanti alla Caritas c’è anche l’imprenditore fallito, che ha perso tutto, la ditta, la casa, anche il matrimonio è saltato, non ha retto alla catastrofe che è diventata la sua vita. Anche i suoi operai hanno perso il lavoro, famiglie con un futuro critico, quasi amicizie che si sono rotte. Anche quello ha sulla coscienza.
E c’è anche l’uomo separato, quello che pochi anni prima tornava a casa la sera da una moglie carina e innamorata, c’era un bambino che lo accoglieva con un sorriso, sua gioia, sua vita. Lì, in fila alla Caritas, cerca di capire come si è arrivati a questo, come ora la sua casa sia un freddo monolocale, come il suo conto sia in rosso, e il mensile che deve pagare per il mantenimento del bambino sia un numero angoscioso: non ce la fa, con il poco, precario stipendio, a pagare l’affitto, gli alimenti, l’assicurazione, il cibo.
La gente in fila alla Caritas non parla, non si racconta le proprie cose: resta in silenzio, la leggera, terribile sensazione di vergogna per essere lì, per essere povera.
Futuro rubato, la vergogna dovrebbe essere di qualcun altro. Ma i sentimenti li prova solo chi ha un cuore.